Alla ricerca dei limiti del possibile

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Ogni giorno ognuno di noi ha la possibilità di incontrare una situazione che mette alla prova la propria capacità di affrontare le difficoltà, che richieda uno sforzo attivo per essere risolto o una resistenza passiva per superare il momento critico.  La difficoltà ci mette inesorabilmente a confronto con i limiti delle nostre capacità.
Ma come si stabiliscono questi limiti e come funzionano?

Il primo ostacolo nell’affrontare le difficoltà consiste nel convincimento profondamente radicato che le difficoltà non dovrebbero esistere, che la felicità dunque consista nel non incontrare problemi sulla propria strada. Di conseguenza quando, al contrario, il nostro quotidiano risulta turbato da un imprevisto spiacevole, grossa parte dello sforzo consiste nel rifiutare la situazione stessa e nell’elaborare strategie per evitare la frustrazione che esso provoca.

Qual è il motivo di questo rifiuto? Tale reazione è dovuta al fatto che la difficoltà e l’impegno necessari per affrontarla ci costringono ad uscire dalla nostra “zona sicura” ed a confrontare l’immagine che abbiamo di noi stessi, spesso positiva e indulgente, con quella disegnata dalle nostre reali capacità in genere sottovalutate e poco conosciute. Il timore che queste due immagini non concordino, di scoprire di essere meno efficaci di quanto pensiamo e l’essere quindi costretti a cambiare, in peggio, la nostra immagine interiore è tale da stimolare reazioni di rifiuto e strategie di “evitamento”.

La prima di queste strategie è il procastine “ Lo farò domani”, “Sicuramente domani sarò più in forma”. La seconda è l’utilizzo di pensieri auto assolventi che attribuiscono la responsabilità del nostro comportamento a fattori terzi, estranei alla nostra volontà. “Non avrei potuto…”,“Avrei voluto ma…” e naturalmente l’universale “Non ci riesco!” e l’intramontabile “Sono fatto così, punto!”

NON E’ VERO! Non siamo fatti così, fatti in modo da non riuscire. Il termine corretto sarebbe dunque non “sono fatto così” ma bensì “Faccio così” nel senso di “mi comporto in questo modo”. A differenza del primo pensiero questo lascia aperta la possibilità e porta diretti alla domanda “Perché?” “Perché mi comporto in questo modo?” La risposta è una. Sempre. Perché ho paura. Ed ogni secondo della mia vita lasciato alla paura alimenta la convinzione che tutto questo sia inevitabile e la nostra sensazione di impotenza cresce. Ogni volta che evitiamo o procrastiniamo una sfida la percezione della nostra incapacità ad affrontarla cresce. Esattamente come l’idea di andare ad un appuntamento a lungo rinviato può arrivare a diventarci odiosa.

Come si può rendere reversibile questo meccanismo? Come possiamo interrompere il ciclo del evitamento ed innescare quello virtuoso che ci porta ad affrontare e superare le difficoltà?

Il primo pensiero che dobbiamo fare nostro è che la felicità nasce dal superare le difficoltà non dall’evitarle. La mancanza di autostima nasce dalla mancanza di impegno non dal fallimento. Di conseguenza l’autostima trae il suo nutrimento dal risultato positivo del nostro impegno.

Quando, per affrontare una sfida, ci avventuriamo al di fuori della nostra “zona di sicurezza”, ci troviamo di fronte a qualcosa di ignoto. In tale condizione è normale provare del disagio ma l’obiettivo dello sforzo che abbiamo compiuto non è quello di rimanere sereni ma di apprendere, di fare esperienza in modo che l’ignoto non sia più tale e allargare in questo modo i confini della nostra conoscenza e della nostra efficacia ampliando le possibilità di successo.

Testimonianze in questo senso vengono da tutti i campi dell’esperienza umana, dai più ampi studi sulla psicologia, al management aziendale, fino allo sport. In particolare, in ambito alpinistico, numerosi sono stati i tentativi di riportare “ a valle” il senso delle esperienze vissute ad alta quota o più in generale in ambienti selvaggi, incontaminati ed ostili alla vita umana. Reinhold Messner, ad esempio, descrive in una delle sue numerose pubblicazioni quale sia stato per lui il valore delle imprese in cui non è riuscito. I suoi fallimenti, racconta, sono ciò che gli ha permesso di evolvere e di compiere le imprese per cui è riconosciuto nell’ambiente alpinistico internazionale. L’autore ricorda come conoscere ed accettare i propri limiti ci allontani dall’illusione di esser infallibili.

Quello che faccio non è, a priori, necessario. È solo possibile eppure sono convinto di quello che faccio. La vita consiste, innanzitutto, nell’esprimerci, nello sfruttare le nostre capacità, nell’esperire il nostro essere uomini. Attingere fino infondo alla nostra energia creativa è la possibilità, tout court, che ci è data. Noi siamo ciò che conferiamo al mondo: un senso, dei valori, la gioia di vivere. La più importante delle capacità umane è quella che consiste nel dare un senso alle cose. Io ho successo perché sono particolarmente robusto, resistente, audace: io cerco innanzitutto di dare un senso ciò che faccio. In questo modo, non sono stati tanto i miei successi a fare quello che oggi sono, quanto piuttosto numerosi fallimenti. E se sono ancora in vita, lo devo in parte alla fortuna. Non sono perfetto.” (R. M. 1993, pag. 10).

Dott. M. L. Gastaldello

per approfondimenti

https://www.amazon.it/Spostare-montagne-affrontano-superando-propri/dp/8837086911

Blibliografia:

Ilgner Arno ROCK WARRIOR’S WAY, 2007 ed. VERSANTESUD Milano                            Messner Reinhold SPOSTARE LE MONTAGNE, 1993, BLV Verlagsgesellschaft mbH trad it.  Umberto Gandini da UN MODO DI VIVERE, UN MONDO DA VIVERE, 1994 de Agostini, Milano.

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